Onorevoli Deputati! - Il decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, reca talune misure urgenti, necessarie a rimediare ad ostacoli che limitano lo sviluppo economico del Paese, i diritti dei consumatori e la concorrenza e che, in relazione all'attuale contingenza economica, nonché in relazione alla presenza di situazioni di grave anomalia rispetto ai princìpi comunitari e costituzionali, più volte segnalate anche dalle istituzioni comunitarie e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, impongono un immediato intervento.
      In particolare, le misure in esame intervengono su due ambiti tra loro connessi: la tutela dei consumatori, in particolare nelle condizioni di mercato asimmetriche e di fronte ai poteri economici forti, e la riduzione e semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, al fine di accrescere la competitività del sistema produttivo nazionale e contribuire alla crescita economica.
      Tali interventi erano già previsti nel programma di Governo e il Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) 2007-2011 ha dedicato, per la prima volta, un intero capitolo a questi aspetti, indicando le motivazioni politiche ed economiche, i settori, i metodi e le priorità d'intervento per promuovere la concorrenza e migliorare la condizione dei consumatori.
      Le disposizioni proposte fanno idealmente seguito a quelle approvate dal Consiglio dei ministri nella riunione del 30 giugno 2006 e, in particolare, al decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
      Il Governo, con tale decreto, ha dato un primo parziale, ma deciso, segnale di apertura del mercato e di abbattimento dei vincoli amministrativi, eliminando 14 restrizioni alla concorrenza segnalate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Le misure di luglio hanno rappresentato una rilevante discontinuità politico-culturale, molto apprezzata dalla maggioranza degli italiani, toccando settori che nel loro insieme assumono rilevanza strategica, per la complessiva incidenza sul versante della competitività e sulla vita quotidiana dei cittadini: le libere professioni e la distribuzione commerciale, i panifici e i conti correnti bancari, i tassisti e la vendita dei farmaci, i notai e le polizze assicurative responsabilità civile (RC) auto, i trasporti locali e i prezzi dei prodotti agroalimentari, gli apparati pubblici locali e i poteri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
      Il «pacchetto per il cittadino consumatore» di luglio, a sei mesi di distanza, ha superato con immediata evidenza la verifica di efficacia, cui è stato sottoposto mediante un monitoraggio condotto dagli uffici del Ministero dello sviluppo economico: basti pensare alle circa 600 parafarmacie aperte in tutta Italia e alla conseguente riduzione del prezzo dei farmaci, all'avvenuto adeguamento dei codici deontologici della generalità degli ordini professionali entro il previsto termine del 1o gennaio, agli accordi intervenuti in molte città per il potenziamento del servizio taxi, alla progressiva riduzione dei costi di gestione dei conti correnti grazie alla maggiore mobilità dei clienti messa in atto con la definitiva soppressione delle spese di chiusura dei conti stessi e al successo popolare ottenuto dalle norme che consentono di fare a meno del notaio per il passaggio di proprietà dei veicoli.
      In questo contesto, occorre introdurre misure urgenti di tutela dei consumatori, di liberalizzazione delle attività economiche e di riduzione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese legando

 

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tutti questi interventi ad una duplice e unitaria finalità.
      Da una parte, combattere le pratiche anticoncorrenziali diffuse nell'economia e nella società italiana, che sono determinate dalla difesa di interessi particolaristici, corporativi e localistici, ed eliminare gli oneri amministrativi non giustificati dalla tutela di alcun interesse pubblico primario, di cui sono emblematici gli attuali obblighi di rispetto di contingenti numerici e di distanze tra esercizi, volti in realtà a chiudere il mercato ai nuovi operatori.
      Dall'altra, arricchire l'economia italiana di nuovi operatori, accelerare la nascita e lo svolgimento di nuove attività e favorire la realizzazione di insediamenti che concretizzino nuove occasioni di lavoro nel pieno rispetto dell'ambiente rafforzando, dove necessario, la tutela degli utenti di beni e servizi di grande rilevanza collettiva.
      Per perseguire questi ambiziosi obiettivi di ordine economico e sociale, il decreto si ispira all'idea di una democrazia efficiente, che collega la trasparenza e la partecipazione alla certezza delle decisioni, abbandonando la logica statalistica e burocratica dell'imposizione, a favore di una logica della responsabilità tanto per gli operatori economici quanto per i pubblici poteri, che sono chiamati a ridurre all'essenziale l'attività di intermediazione amministrativa e a concentrare la loro attività nelle funzioni strategiche di programmazione e di costante e severo controllo della veridicità delle attestazioni fornite dagli operatori di mercato.
      Si illustrano, di seguito, brevemente, i singoli articoli.
      Il capo I prevede talune misure immediate di tutela dei consumatori.
      L'articolo 1 reca una norma in materia di ricarica nei servizi di telefonia mobile e trasparenza dei servizi offerti dagli operatori telefonici
      La disposizione pone fine ad un'anomalia, quella dei costi di ricarica dei telefoni cellulari che i consumatori pagano in più di quanto effettivamente viene loro accreditato per l'esercizio del servizio (10 euro per ottenere 8 euro di effettivo utilizzo e dove i 2 euro rappresentano i costi di ricarica). Il contributo di ricarica non ha un rapporto diretto e trasparente con i costi sostenuti dagli operatori per la gestione dei servizi, ma il suo effetto è quello di elevare il prezzo al minuto delle telefonate rendendo più difficile la percezione del prezzo effettivo finale del servizio. Inoltre, esso costituisce l'unico caso esistente nel mercato europeo.
      Il disagio dei consumatori si è tradotto in una petizione che ha superato le 800.000 firme e che ha comportato l'esperimento di una recente indagine conoscitiva congiunta condotta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (indagine conoscitiva n. 33, conclusa il 15 novembre 2006).
      Le indicazioni risultanti dall'indagine, sollecitata anche dalla Commissione europea, concludevano per la necessità di un intervento per la revisione anche totale del contributo fisso; l'intervento deve essere tale da restituire alla concorrenza tutte le componenti di prezzo della telefonia mobile e ottenere in prospettiva rilevanti riduzioni delle tariffe.
      Il comma 2 completa la disciplina, in materia di trasparenza delle tariffe di telefonia mobile, stabilendo il principio dell'individuazione di modalità che rendano possibile la comparazione tra i costi del traffico telefonico offerto dai diversi operatori, affidando all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'attuazione della disposizione.
      Il comma 3, infine, riguarda i contratti nei settori della telefonia, delle televisioni e delle comunicazioni elettroniche (compreso internet) e tutela la possibilità degli utenti di recedere dal contratto e passare ad altro operatore senza ritardi e oneri non giustificati da esigenze tecniche, prevedendo la nullità delle clausole difformi.
      L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sarà competente per l'irrogazione delle sanzioni in caso di inosservanza.
      L'articolo 2 riguarda l'informazione sui prezzi dei carburanti e sul traffico lungo la rete autostradale e stradale.
 

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      La disposizione in esame si pone sulla scia di altri interventi normativi volti alla tutela del consumatore in materia di pubblicità dei prezzi dei prodotti petroliferi lungo la rete autostradale e stradale nazionale.
      Con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 30 settembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 7 ottobre 1999, all'articolo 1, comma 2, veniva infatti già previsto che, per garantire la trasparenza dei prezzi del carburante nei confronti del consumatore finale, bisognasse esporre in modo visibile nella direzione di senso lungo la carreggiata stradale i prezzi praticati al consumo. Ciò, peraltro, non consentiva ancora una valutazione comparata né una effettiva possibilità di scelta del consumatore.
      Oggi la rete stradale e autostradale nazionale è data in concessione da parte del Ministero delle infrastrutture, che esercita poteri di vigilanza e di indirizzo sull'attività del concessionario, sentito il parere del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).
      In questo quadro ordinamentale, dunque, la norma in esame, volendo favorire la concorrenza e la trasparenza dei prezzi nel settore della distribuzione del carburante, prevede che il Ministero dei trasporti sottoponga al CIPE una proposta per disciplinare, nell'ambito delle concessioni autostradali e stradali nazionali, l'installazione di strumenti di informazione di pubblica utilità e la stipula di convenzioni con emittenti radiofoniche e gestori di telefonia mobile, per pubblicizzare i prezzi di vendita del carburante, anche in forma comparata lungo le strade e autostrade di primaria importanza nazionale.
      Parimenti a quanto avviene in altri Paesi europei, si tratta di prevedere, anche mediante tabelloni all'inizio di ogni tratta stradale, un listino dei prezzi dei carburanti erogati da tutti gli impianti presenti lungo quel tratto.
      Gli stessi strumenti informativi dovranno essere utilizzati, così come gli strumenti esistenti, dal gestore dell'infrastruttura stradale o autostradale per comunicare le eventuali condizioni di grave impedimento del traffico, in tempo reale, agli utenti che potranno, in tal modo, decidere se accedere o meno alla rete stradale o autostradale.
      Viene esplicitamente previsto che l'iniziativa non comporti oneri per la finanza pubblica.
      L'articolo 3 concerne la trasparenza delle tariffe aeree.
      La norma in esame fa seguito ai numerosi interventi in materia da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
      Infatti, già a partire dal 2003, l'Autorità garante aveva avviato una indagine conoscitiva (provvedimento n. 12703 dell'11 dicembre 2003) riguardante il settore del trasporto aereo passeggeri, con particolare riguardo alle dinamiche tariffarie.
      All'esito di tale indagine conoscitiva (provvedimento n. 14260 del 27 aprile 2005) l'Autorità ha individuato una risposta non corretta delle compagnie tradizionali rispetto all'ampliamento dell'offerta connessa al processo di liberalizzazione del trasporto aereo, mediante l'adozione, in determinati casi, di pratiche volte a rendere più difficile e confusa la ricerca delle opzioni migliori per il consumatore, che riducono in tal modo l'impatto della concorrenza sulla redditività per l'impresa (cosiddetta obfuscation).
      La più significativa forma di obfuscation ravvisabile nel settore del trasporto aereo è l'utilizzo di supplementi per limitare la significatività della cosiddetta «tariffa netta» quale indicatore dell'effettivo prezzo del servizio proposto.
      Questo meccanismo è stato introdotto in Italia mediante l'applicazione di una fuel surcharge, con modalità e importi concordati da alcuni operatori nazionali, avvenuta a seguito di un repentino aumento del prezzo del carburante. L'effetto è stato quello della sottrazione di una parte dei costi di produzione del servizio dalle dinamiche competitive e della cristallizzazione delle tariffe, così come erano antecedentemente all'aggravio del prezzo del carburante.
      Nel consumatore si è quindi creata la percezione che il supplemento costituisca una mera posta addizionale della tariffa,
 

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indipendente dalle scelte commerciali dei vettori (come le tasse aeroportuali).
      Si sono così introdotti altri supplementi quali, ad esempio, il crisis surcharge, ossia il supplemento per la gestione e sicurezza bagagli, spese amministrative o di esecuzione degli acquisti on line.
      La norma in esame, dunque, volta a promuovere la concorrenza e la tutela dei consumatori, vieta, in quanto considerati ingannevoli, le offerte e i messaggi pubblicitari relativi a voli aerei che indicano il prezzo al netto delle spese, delle tasse e di tutti gli altri oneri aggiuntivi, ovvero riferite a contingenti di utenti limitati o a modalità di prenotazione non indicate.
      L'articolo 4 disciplina la data di scadenza dei prodotti alimentari.
      La norma in esame, ai fini della tutela del consumatore e del corretto e leale svolgimento del commercio, prevede che l'informazione sulla data di scadenza o sul termine minimo di conservazione del prodotto alimentare debba essere apposta in un punto evidente della confezione o dell'etichetta, in modo da essere facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile.
      Le modalità di presentazione sono necessariamente rimesse alla libertà del produttore, dando la normativa statale solo l'obbligo di immediata percezione di tale dato basilare per l'acquirente.
      L'intervento tiene conto dell'attuale difficoltà per il consumatore di individuare la data di scadenza per molti prodotti alimentari, vista la forte differenziazione esistente nella collocazione della data, talvolta in modo pressoché invisibile, sulle confezioni presenti sul mercato.
      La disposizione, che è conforme all'articolo 13 della direttiva 2000/13/CE della Commissione, del 20 marzo 2000, pone maggiormente in evidenza la data di scadenza per l'utilizzo o il consumo del prodotto, anche in relazione ad un suo possibile utilizzo nella vendita sottocosto, ed è volta a consentire all'acquirente un'informazione chiara e univoca sulla freschezza della derrata alimentare; altro effetto della norma è di porre fine a sistemi di etichettatura difformi posti in essere dagli operatori, con modalità non sempre coerenti con l'obiettivo di informazione perseguito dalla normativa comunitaria e nazionale.
      Il comma 2, infine, pone un termine di adeguamento di centottanta giorni.
      L'articolo 5 disciplina, al comma 1, il divieto di esclusiva nella distribuzione dei prodotti assicurativi, estendendo a tutto il ramo danni la riforma introdotta dall'articolo 8 del citato decreto-legge n. 223 del 2006, al fine di massimizzare la concorrenza, a favore dei consumatori e degli stessi agenti assicurativi.
      In tal senso si è espressa anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che con segnalazione del 16 gennaio 2007 ha inteso soffermarsi sulle disposizioni contenute nell'articolo 8 del citato decreto-legge n. 223 del 2006. Pertanto, la norma rappresenta il correttivo per il raggiungimento dell'obiettivo concorrenziale nel settore.
      Il comma 2 pone misure urgenti di tutela del consumatore contraente di polizze RC auto, relativamente all'applicazione della clausola bonus-malus.
      Bisogna premettere che la clausola bonus-malus è una formula contrattuale che regolamenta la stragrande maggioranza delle polizze RC auto e prevede, a ogni scadenza, progressivi rincari o riduzioni percentuali del premio, rispettivamente se l'assicurato ha causato o meno sinistri nel cosiddetto «periodo di osservazione» (che dura un anno e termina tre mesi prima della data di scadenza della polizza).
      Il sistema, che è presente, da lunga data, in tutti i Paesi europei (Svizzera: 1963; Germania: 1968; Austria, Belgio e Francia: 1971; Paesi Bassi: 1982), costituisce senz'altro un elemento di prevenzione, tanto è vero che la sua introduzione ha portato ad una drastica riduzione delle denunce di sinistro.
      Il meccanismo evolutivo delle classi di merito è stato, originariamente, previsto nel provvedimento del Comitato interministeriale prezzi (CIP) del 5 maggio 1993 quale scala di riferimento comune per le imprese di assicurazioni esercenti il ramo RC auto.
 

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      Sono state stabilite diciotto classi di merito, con la quattordicesima, quella d'ingresso, che corrisponde alla tariffa base.
      Attualmente, considerata anche la libertà tariffaria delle imprese di assicurazione, le classi di merito di provenienza e di assegnazione sono stabilite sulla base di regole autonomamente scelte da ciascuna compagnia; regole che premiano o penalizzano in modo diverso la situazione relativa alla sinistrosità pregressa.
      Inoltre, da una breve indagine compiuta sul campo risulta che, nei casi del concorso di colpa, molto spesso le compagnie non procedono a verifiche effettive sul grado di responsabilità, ma tendono a corrispondere il risarcimento all'altro soggetto intervenuto nell'incidente (o ad andare a transazione), con conseguenti variazioni in senso sfavorevole delle classi di merito assegnate ai contraenti.
      La norma proposta va ad integrare l'articolo 134 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209.
      In particolare, si vuole introdurre, a tutela del consumatore contraente, il principio della conservazione della classe di merito, che risulta dall'ultimo attestato di rischio, che vale in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto (anche a seguito di furto del veicolo o di sua consegna in conto vendita).
      Con il nuovo comma 4-ter dell'articolo 134 del citato codice si vuole rigorosamente disciplinare la variazione di classe di merito nei casi di sinistro stradale.
      In dettaglio: 1) in primo luogo, questa è condizionata all'accertamento dell'effettiva responsabilità del contraente; 2) nei casi in cui questo non sia possibile, si prevede il computo pro quota in relazione al numero dei conducenti coinvolti nel sinistro, ai fini della eventuale variazione di classe.
      Il nuovo comma 4-quater dell'articolo 134, infine, sancisce, in ossequio ai princìpi di trasparenza e di pubblicità, l'obbligo per le imprese di assicurazione di comunicare al contraente le variazioni peggiorative apportate alle classi di merito.
      Il comma 3 dell'articolo 5 del decreto favorisce l'informazione a vantaggio dei contraenti.
      Si ricorda al riguardo che, pur nel rispetto dei princìpi comunitari, in base ai quali gli Stati membri in cui operano le compagnie possono chiedere la comunicazione delle tariffe e dei criteri di fissazione solo «sporadicamente», nel sistema attuale si rinvengono alcune disposizioni in base alle quali le medesime imprese di assicurazione sono tenute a osservare determinati obblighi di trasparenza e pubblicità.
      L'articolo 22 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, recante «Misure per favorire l'iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza», ha previsto, per le imprese di assicurazione, obblighi di pubblicità dei premi e delle condizioni di polizza presso ogni punto vendita dell'impresa e mediante siti internet che permettono agli utenti di calcolare i premi e prendere visione della nota informativa e delle condizioni di polizza.
      Successivamente, l'articolo 131 del codice delle assicurazioni, di cui al decreto legislativo n. 209 del 2005 ha, sostanzialmente, recepito la previsione del citato articolo 22. In sostanza, oggi il consumatore ha diritto ad avere un preventivo personalizzato per il proprio profilo e può prendere visione della nota informativa e del contratto.
      Peraltro, di fronte a un'offerta articolata di prodotti è necessario e auspicabile che i clienti ricerchino le coperture e le soluzioni più convenienti nell'ampia gamma di prezzi e contratti proposti.
      Anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (a pagina 79 dell'indagine conoscitiva sul settore dell'assicurazione autoveicoli del 17 luglio 2003) ha ritenuto essenziale che vi sia una competizione effettiva tra le imprese: secondo l'Autorità, perché ciò accada «è necessario che si sviluppino strumenti ad esempio operatori specializzati o intermediari in grado di agevolare il confronto tra le polizze offerte atti a ridurre il gap informativo del consumatore consentendo a quest'ultimo di scegliere l'offerta maggiormente
 

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corrispondente alle proprie preferenze».
      La scarsa mobilità del consumatore, nonostante la notevole dispersione dei premi, mostra l'esistenza di costi di ricerca del preventivo migliore che risultano talmente elevati da superare i benefìci attesi. Sul punto l'Autorità garante della concorrenza e del mercato conclude che «in merito al consumatore, l'analisi condotta ha evidenziato che i rilevanti problemi informativi esistenti dal lato della domanda, riconducibili alla complessità del prodotto assicurativo ed alla presenza stessa di personalizzazione, richiedono lo sviluppo di strumenti idonei a coadiuvare il consumatore nel suo processo di ricerca e di scelta».
      In base a tali esigenze, il comma in esame si propone di perseguire le finalità indicate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ampliando le possibilità di reperire informazioni sulle tariffe presenti sul mercato da parte dei singoli consumatori.
      Esso va ad integrare le disposizioni dell'articolo 136 del codice delle assicurazioni, riguardante le funzioni del Ministero dello sviluppo economico, assegnando al Ministero medesimo il compito di realizzare, sulla base della banca dati organizzata dall'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), un servizio informativo, principalmente sul proprio sito internet, per consentire ai singoli consumatori di ottenere direttamente una comparazione fra i prezzi finali delle diverse compagnie applicabili al proprio profili individuale.
      La disciplina appare rispettosa anche di quanto affermato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato che, con parere del 28 luglio 2006 in merito ad una analoga iniziativa legislativa del Governo (schema di decreto legislativo approvato in via preliminare il 30 giugno 2006, che così verrebbe superato), ha segnalato «la necessità di distinguere tra strumenti che facilitano la comparazione tra prodotti che premiano le imprese che decidono di abbassare i prezzi e strumenti che, viceversa, aumentano solo la trasparenza "reciproca" tra le imprese, il che, oltre a non generare benefìci per i consumatori, è potenzialmente restrittivo della concorrenza».
      Pertanto, con l'attuazione della disposizione proposta si dovrebbe mettere a disposizione dei consumatori un ulteriore strumento di comparazione dei preventivi di polizza, per permettere un reale confronto delle condizioni, delle tariffe e del servizio offerto dalle imprese di assicurazione.
      Il comma 4 pone in capo al contraente la facoltà di recedere dai contratti di assicurazione di durata pluriennale senza oneri e con preavviso di sessanta giorni.
      L'articolo 1899 del codice civile fissa disposizioni sulla durata delle polizze assicurative diverse da quelle del ramo vita.
      In particolare, l'ultimo periodo del primo comma prevede nella vigente formulazione che le parti «se l'assicurazione supera i dieci anni, trascorso il decennio e nonostante patto contrario, hanno facoltà di recedere dal contratto, con preavviso di sei mesi, che può darsi anche mediante raccomandata».
      La previsione codicistica, risalente ad un'epoca in cui le imprese assicurative non operavano in regime concorrenziale, ha portato alla diffusione sul mercato di polizze di durata decennale per il ramo danni, che costituisce attualmente un'anomalia italiana nel mercato europeo, con effetti pregiudizievoli sulla concorrenza e sui consumatori.
      L'offerta da parte delle imprese assicurative si è quindi orientata verso questo profilo di prodotto per la copertura di diverse tipologie di rischi.
      Da questa situazione deriva che, nella maggior parte dei casi, la durata decennale delle polizze di assicurazione danni non è oggetto di trattativa, che il contraente non ha il vantaggio economico dello «sconto per durata» e che ai consumatori che sottoscrivono polizze pluriennali non è consentito scegliere un'altra compagnia, con condizioni e premi più vantaggiosi, visto che il contratto non può essere disdetto prima della scadenza finale prevista.
 

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      La ratio dell'articolo proposto si rinviene nella correzione di tale meccanismo e dei conseguenti effetti pregiudizievoli sulla concorrenza, anche favorendo la mobilità dei consumatori e la loro scelta tra una varietà più ampia di proposte commerciali.
      La norma, infatti, sostituisce la citata disposizione civilistica, con l'inserimento della nozione più generica di «durata poliennale del contratto» e la previsione di rescindibilità annuale e senza spese del contratto.
      Il comma 5 stabilisce che sono nulle le clausole contrattuali in contrasto con le disposizioni del presente articolo.
      L'articolo 6 semplifica il procedimento di cancellazione dell'ipoteca nei mutui immobiliari, prevedendo che il creditore, ove sia un soggetto autorizzato ad esercitare attività bancaria, entro trenta giorni dall'estinzione del mutuo, a seguito del pagamento delle rate da parte del cliente, deve darne comunicazione direttamente alla conservatoria, che deve procedere d'ufficio all'immediata cancellazione dell'ipoteca.
      Viene, così, cancellato un aggravio procedimentale e finanziario, del tutto inutile rispetto alle esigenze di pubblica fede e di certezza giuridica, che oggi incombe sul cittadino, che, pur dopo aver saldato il proprio debito, deve sottoporsi a gravose spese di intermediazione bancaria e notarili, laddove voglia subito estinguere l'ipoteca per poter liberamente disporre del proprio immobile.
      L'articolo 7 è finalizzato ad impedire, per i nuovi contratti di mutuo, la pattuizione di clausole che impongano al debitore una prestazione patrimoniale in favore della banca nel caso di estinzione anticipata o parziale dei mutui e a consentire, per i contratti vigenti, la riconduzione delle penali ad equità.
      Viene, in particolare, vietata la pattuizione di clausole che prevedano una penale a carico del mutuatario in caso di estinzione anticipata o parziale, contenute nei contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa.
      Viene, inoltre, precisato che l'invalidità delle clausole penali apposte in violazione del predetto divieto opera solo per i contratti futuri, con la conseguenza che la relativa sanzione resta priva di efficacia retroattiva.
      In merito ai contratti di mutuo in essere alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, si prevede un meccanismo di rinegoziazione degli stessi mediante la definizione (in prima battuta in via pattizia tra le associazioni di categoria e, in seconda battuta, da parte della Banca d'Italia) di un importo massimo delle penali che permetta la riconduzione ad equità delle relative clausole e che attribuisca al debitore un vero e proprio diritto alla riduzione delle penali già pattuite.
      L'articolo 8 assolve la funzione di agevolare e di semplificare il trasferimento del rapporto bancario per volontà del mutuatario al fine di consentire la rinegoziazione con una nuova banca delle condizioni di tasso, durata o altri termini contrattuali del contratto originario.
      Sino ad oggi, infatti, una serie di ostacoli di carattere giuridico e di prassi bancaria ha reso particolarmente gravosa, per il mutuatario, la possibilità di sfruttare i benefìci della concorrenza tra banche per rinegoziare i termini e le condizioni del contratto di mutuo.
      Il presente articolo individua nell'istituto della surrogazione per volontà del debitore, di cui all'articolo 1202 del codice civile, lo strumento attraverso il quale il mutuatario estingue il primo mutuo trasferendo a favore del nuovo mutuante le garanzie accessorie al credito.
      Il capo II prevede misure urgenti per lo sviluppo imprenditoriale e la promozione della concorrenza.
      In tale ambito, assume un rilievo strategico l'articolo 9, il quale consente che la nascita delle nuove imprese possa avvenire in un solo giorno.
      Sono note, al riguardo, le richieste provenienti dal mondo imprenditoriale (cui si è già accennato), ma anche da autorevoli organismi internazionali (in
 

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primo luogo l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - OCSE), sulla necessità di ridurre a quanto realmente necessario le formalità da espletare per l'avvio di attività imprenditoriali, fermo restando il potere di verifica e controllo in capo agli uffici pubblici.
      Con le disposizioni in esame si mira a consentire l'inizio immediato delle attività imprenditoriali in questione.
      La norma stabilisce che tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese e ai fini previdenziali, assistenziali, fiscali e per l'ottenimento del codice fiscale e della partita IVA siano sostituiti da una comunicazione unica, da presentare in via telematica o mediante le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, al registro delle imprese.
      Viene contestualmente rilasciata una ricevuta, che costituisce titolo idoneo per l'immediato avvio dell'attività. Le amministrazioni competenti comunicano all'interessato e alla camera di commercio, anche in via telematica, immediatamente il codice fiscale e la partita IVA, ed entro i successivi sette giorni i dati definitivi relativi alle posizioni registrate.
      Le modalità tecniche di attuazione sono demandate a successivi decreti, da adottare entro quarantacinque giorni, nei quali saranno stabiliti il modello di comunicazione unica, le forme per la sua pubblicità, anche via internet, le modalità tecniche di presentazione e quelle per l'immediato trasferimento telematico dei dati da un'amministrazione alle altre (in primo luogo, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, INPS, INAIL, Agenzia delle entrate, registro delle imprese).
      Viene stabilito un periodo transitorio di sei mesi dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto, durante il quale le comunicazioni possono essere inoltrate anche secondo la normativa previgente.
      L'intento di perseguire l'obiettivo di semplificare e incentivare al massimo l'utilizzo dello strumento telematico da parte delle imprese individuali implica, altresì, una revisione della tariffa dell'imposta di bollo, attualmente disciplinata dall'articolo 1, comma 1-ter, della tariffa, parte prima, annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, relativamente alle domande, le denunce e gli atti presentati all'ufficio del registro delle imprese tramite strumenti telematici.
      A tale riguardo, il comma 10 rinvia ad un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, con il quale la misura dell'imposta in questione è rideterminata, garantendo comunque l'invarianza del gettito.
      L'articolo 10 reca misure urgenti per la liberalizzazione di alcune attività economiche oggi sottoposte a vincoli, che oramai non trovano più alcuna giustificazione.
      La norma è volta a garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità sul territorio nazionale e il corretto e uniforme funzionamento del mercato, nonché ad assicurare ai consumatori finali migliori condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, in conformità al principio comunitario della concorrenza e alle regole sancite dagli articoli 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità europea.
      In particolare, il comma 2 assoggetta l'esercizio delle attività di acconciatore ed estetista alla sola dichiarazione di inizio attività ed elimina ogni limitazione relativa sia alla chiusura infrasettimanale che alla distanza minima degli esercizi o a parametri numerici, mantenendo i requisiti di qualificazione professionale previsti dalle leggi di settore.
      Di recente anche il Consiglio di Stato (sentenza 20 gennaio 2006) si è espresso nel senso che i regolamenti comunali attualmente in vigore attinenti alle attività di acconciatore ed estetista, che prevedono il vincolo della distanza minima, violino sia il principio costituzionale dell'articolo 41 sulla libertà di iniziativa economica, sia i princìpi dello sviluppo concorrenziale dell'economia stessa.
      Il comma 3, concernente l'attività di pulizia, disinfezione e facchinaggio, intende eliminare i requisiti professionali
 

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prescritti dalla normativa vigente per alcune attività di carattere elementare, quali la pulizia e il facchinaggio, che appaiono realisticamente eccessivi; ad esempio la conoscenza della chimica per le pulizie e della fisica per il facchinaggio.
      Restano ferme le previsioni dei requisiti professionali per le attività di disinfestazione, derattizzazione e sanificazione, regolate anch'esse dal decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato 7 luglio 1997, n. 274, poiché essendo attività che comportano maggiori rischi non si è ritenuto di poter prescindere da requisiti professionali e culturali.
      Pertanto la previsione della dichiarazione di inizio attività e l'apertura del mercato appaiono una soluzione di semplificazione reale.
      Il comma 4 dispone in materia di guide turistiche e accompagnatori turistici.
      In Italia la normativa regionale delle guide turistiche è stata sottoposta a svariate procedure di infrazione a livello comunitario, giacché ha sempre vietato alle guide comunitarie di esercitare la professione sul territorio italiano.
      Peraltro, il numero delle guide turistiche è esiguo, in proporzione al fabbisogno del settore turistico, e ciò è causa di numerosi disservizi nel campo dei livelli minimi di assistenza al turista. L'esiguità del numero di coloro che esercitano detta professione è dovuto a numerosi fattori, primo tra i quali la tempistica degli esami abilitanti, organizzati a livello regionale o provinciale, che non vengono banditi una volta l'anno, come prescrive la maggior parte delle normative settoriali.
      L'attuale previsione normativa richiama, anche per questo settore professionale, il principio di tutela della concorrenza, per ricondurre l'attività di guida turistica all'eccellenza che merita in quanto professione dedicata ad illustrare l'enorme patrimonio storico-artistico dell'Italia, in osservanza dei princìpi comunitari, facendo salva la ripartizione di competenze dell'articolo 117 della Costituzione.
      Obiettivo di tale disposizione è di ottenere che il solo requisito prescritto per chi intende esercitare la professione di guida turistica sia la competenza professionale, basata sulla conoscenza del territorio nel quale intende esercitare la professione e sulle conoscenze linguistiche.
      Il comma 5, riguardante le autoscuole, è una norma che si pone a rimedio dei gravi effetti distorsivi della concorrenza che la limitazione numerica dell'attività di autoscuola, basata sul rapporto con la densità della popolazione, ha comportato a far data dal regolamento di cui al decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 17 maggio 1995, n. 317.
      La proposta è volta, inoltre, a sopprimere la disposizione che impone l'autorizzazione per lo svolgimento dell'attività e a sanare il contrasto che l'articolo 123 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) ha creato con i princìpi di libero mercato, sanciti dal trattato istitutivo della Comunità europea (in particolare dagli articoli 81, 82 e 86), con i princìpi di libertà di impresa e di diritto al lavoro.
      La regolamentazione del settore attraverso un processo decisionale ha creato posizioni di rendita a beneficio degli operatori già presenti sul mercato e la limitazione, poi operata a livello di regolamentazione provinciale, ha precluso ulteriormente l'entrata di nuovi operatori nel settore.
      In tale senso si era già espressa con decisione del 29 maggio 1997 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato in una segnalazione al Parlamento e al Governo.
      Il comma 8, previsto per porre rimedio ad una infrazione comunitaria, abolisce l'obbligo di iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro per i soggetti abilitati allo svolgimento della predetta attività nell'ordinamento giuridico comunitario di appartenenza.
      Il comma 9, infine, pone una misura di anticipazione del percorso di liberalizzazione che già interessa il mondo dei trasporti pubblici di linea, estendendo l'apertura del mercato anche a talune tratte di lunghezza inferiore a quella prevista dalla vigente normativa.
 

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      L'articolo 11 prevede le misure per il mercato del gas naturale.
      Le disposizioni hanno la finalità di creare una maggiore liquidità dell'offerta di gas nel mercato italiano, in attesa dell'avvio di una borsa del gas, a vantaggio delle imprese e dei consumatori.
      Con il comma 1 si dispone che le royalties derivanti allo Stato dalla coltivazione dei giacimenti di idrocarburi non vengano più versate in valore secondo un parametro determinato e aggiornato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, ma direttamente immesse nel mercato e offerte ad imprese e consumatori per il loro approvvigionamento. Le entrate derivanti dalla vendita affluirebbero all'erario, mantenendo la previsione di gettito.
      Con il comma 2 si introduce la possibilità di avviare a tale mercato regolamentato di scambio anche una parte dei volumi di gas importati a seguito dei potenziamenti dei gasdotti esistenti e delle nuove infrastrutture di approvvigionamento dall'estero.
      L'articolo 12 si occupa della riapertura alle gare nel settore ferroviario.
      La storia del treno ad alta velocità (TAV) prende il via agli inizi degli anni '90, quando, per realizzare le nuove, costosissime linee ferroviarie ad alta velocità non si fecero le gare pubbliche (che avrebbero consentito di scegliere le migliori imprese secondo il principio di concorrenza), come era invece previsto dal diritto italiano e della Comunità europea, e nemmeno si stipularono contratti di appalto, che avrebbero garantito il controllo pubblico sulla progettazione e sulla realizzazione dei lavori. Si inventò, invece, il sistema del «general contractor».
      In particolare, il 19 luglio 1991 le Ferrovie dello Stato (FS) costituirono TAV S.p.A., una nuova società per azioni, alla quale affidarono la concessione per la realizzazione delle infrastrutture per il treno ad alta velocità. La società TAV, a sua volta, per ciascuna delle tratte ferroviarie da realizzare, affidò ad un solo consorzio d'imprese, scelto a trattativa privata, sia la progettazione, sia la realizzazione dell'opera.
      Come evidenziato anche dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato (con parere n. 3526 del 10 gennaio 1996), veniva in tal modo cancellato ogni rischio imprenditoriale del general contractor, prescelto a trattativa privata (in violazione della regola comunitaria della gara pubblica) e lasciato libero di progettare e realizzare l'opera, senza alcun effettivo controllo pubblico: TAV non aveva neppure le necessarie competenze tecniche, che avrebbe invece avuto FS, e per fare i controlli doveva addirittura stipulare un contratto con un'altra società di FS (Italferr-SISTAV). Il general contractor non aveva, quindi, alcun incentivo a scegliere soluzioni progettuali economiche e a fare presto e bene, ma, al contrario, aveva acquistato un interesse a progettare opere costose, approvare varianti, subappaltare e prolungare il più possibile i lavori, per fare aumentare il proprio guadagno.
      L'articolo 131 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), sancì la liberalizzazione del trasporto ferroviario nazionale e revocò le concessioni rilasciate da Ferrovie dello Stato a TAV S.p.A. relativamente ai lavori non ancora iniziati. Inoltre, vennero applicate espressamente alla materia sia la legge quadro sui lavori pubblici, sia i decreti legislativi (di recepimento delle direttive comunitarie) che prevedono la gara pubblica europea per l'affidamento degli appalti. Il successivo Governo, però, con la legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), sancì che «proseguono pertanto, senza soluzione di continuità, le concessioni rilasciate a TAV S.p.A. (...) ed i sottostanti rapporti di general-contracting instaurati dalla TAV».
      L'Autorità garante della concorrenza e del mercato segnalò espressamente al Governo il «contrasto con le norme comunitarie in materia di appalti pubblici, che impongono l'obbligo della gara, nonché con i principi a tutela della concorrenza», ma ciò nonostante la norma venne approvata dal Parlamento, come articolo 11 della legge 1o agosto 2002, n. 166. Per questa stessa norma, nel 2004 la Commissione europea condannò l'Italia per violazione
 

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degli articoli 43 e 49 del Trattato in materia di appalti e concessioni, ma il Governo allora in carica ignorò la condanna.
      Con la successiva «legge obiettivo», il sistema dei «general contractors» della TAV venne, anzi, esteso dal Governo pro tempore a tutte le altre «grandi opere». Inoltre, la legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) istituì la nuova società «Infrastrutture S.p.A.» per finanziare prioritariamente gli investimenti per l'alta velocità.
      Riguardo ai costi del descritto sistema, si evidenzia che, secondo i dati relativi alla linea Torino-Napoli, la spesa, fissata dai contratti del 1991 in poco meno di 5.700 milioni di euro, è aumentata, fino al 2003, fino a poco più di 23.200 milioni di euro, con un aumento percentuale del 410 per cento, con gravissimi ritardi nella consegna dei lavori. Il prolungarsi dei lavori ha amplificato inoltre l'obbligo dello Stato di compensare gli interessi chiesti ai consorzi per il ricorso al credito, che già nel 2003 ha comportato un esborso di pubblico denaro, in legge finanziaria, pari a circa 350 milioni di euro annui.
      L'aumento dei costi rispetto a quanto preventivato è reso emblematico dal divario fra i costi della prima tratta realizzata (Napoli-Roma e Firenze-Bologna), e i 7 chilometri della linea ad alta velocità presso Bologna andati, per varie ragioni, a gara europea nel 1998, e aggiudicati ad un'impresa spagnola che aveva offerto un ribasso del 47 per cento (circa la metà!). Il costo finale per chilometro fu di circa 38 miliardi di lire, contro i circa 82 miliardi della rimanente tratta.
      Il Governo confida ora che, risolvendo l'anomalia descritta, sarà possibile concludere in modo trasparente, rapido ed efficace le opere per l'alta velocità ancora da ultimare, affidando i lavori mediante gara pubblica europea e ristabilendo, così, i princìpi di trasparenza, imparzialità ed efficacia economica dell'azione amministrativa, in modo da evitare inutili sprechi di denaro pubblico.
      In particolare, la disposizione in esame revoca le concessioni rilasciate a TAV Spa dall'Ente Ferrovie dello Stato e a RFI Spa per la realizzazione di talune tratte ferroviarie (Milano-Verona; Verona-Padova; Milano-Genova; Terzo valico dei Giovi). Gli effetti delle revoche si estendono a tutti i connessi rapporti convenzionali stipulati con i general contractors tra il 1991 e il 1992. Sarà così possibile riaprire la realizzazione delle opere in esame al mercato e alla libera concorrenza, mediante l'espletamento di gare pubbliche europee, che consentiranno - finalmente - la scelta dell'offerta economica più conveniente, nonché la tutela dell'interesse pubblico mediante un'adeguata vigilanza sul rispetto dei tempi e degli oneri finanziari pattuiti.
      Quanto ai profili finanziari della disposizione in esame, è appena il caso di sottolineare come la sua applicazione si concreti in un rilevantissimo risparmio di spesa per l'amministrazione, paragonando gli oneri dovuti ai general contractor in relazione alla revoca con l'importo che avrebbe con ogni probabilità caratterizzato la realizzazione dell'opera da parte degli stessi, alla luce dell'univoca serie storica, secondo cui tutte le opere realizzate secondo tali modalità sono costate al pubblico erario non meno di tre volte l'importo preventivato, con una durata molte volte più alta rispetto a quella concordata.
      In questo modo, al contrario, sarà possibile affidare le opere a gara pubblica europea, scegliendo di volta in volta la migliore offerta sotto il profilo tecnico-finanziario e vigilando attentamente sui modi e i tempi di realizzazione.
      Inoltre, la norma disciplina le modalità di indennizzo degli interessati, limitandolo alle spese effettivamente sostenute e documentate per le fasi del tutto preliminari che hanno fino ad ora riguardato le tratte in questione, rinviando alla nuova disciplina prevista dall'ultimo comma dell'articolo.
      Infatti, il comma 4 disciplina in via generale l'obbligo di corresponsione di un indennizzo nei casi di revoca di atti amministrativi che incida su precedenti rapporti negoziali con i privati.
 

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      In sostanza, si estende anche all'attività privatistica la previsione di cui all'articolo 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede, in termini più generici, l'ipotesi di «revoca che comporta pregiudizi in danno di soggetti direttamente interessati». Poiché la revoca consegue ad una diversa valutazione ovvero ad una sopravvenienza che impongono una rivisitazione dell'interesse pubblico come inizialmente apprezzato, è opportuno che il potere di revocare il provvedimento sia condizionato all'obbligo di indennizzare il privato, che per effetto della revoca abbia subìto un pregiudizio, anche nei casi - sempre più frequenti - di attività negoziale dell'amministrazione. Versandosi in una ipotesi di responsabilità da atto lecito, motivata in ragione dell'interesse pubblico, non si tratta di un risarcimento del danno ma di indennizzo, in relazione al quale sono dettate anche le modalità per la quantificazione riferita, sotto il profilo quantitativo, al solo danno emergente, con esclusione dei vantaggi futuri venuti meno e nel rispetto dei princìpi civilistici della valutazione del concorso e dell'attività svolta dall'interessato (articolo 1226 del codice civile).
      L'articolo 13 reca disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica.
      La riforma degli ordinamenti scolastici introdotta dalla legge 28 marzo 2003, n. 53, ha determinato profondi mutamenti e innovazioni nell'ordinamento scolastico, e in particolare, per quanto riguarda l'istruzione secondaria superiore, nel settore dell'istruzione tecnica e professionale. Il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, emanato in attuazione della delega prevista dalla citata legge n. 53 del 2003, nel disciplinare il sistema dei licei, ha infatti previsto l'istituzione dei licei economico e tecnologico e la soppressione degli istituti tecnici e professionali fino al completo esaurimento delle classi del precedente ordinamento, ancora funzionanti. Nella presente legislatura si è provveduto a rinviare l'avvio della riforma del secondo ciclo al fine di avere un arco temporale più congruo per iniziative legislative di revisione, consentendo ancora la possibilità di iscrizione ai predetti istituti. In conseguenza di tale radicale mutamento dell'assetto ordinamentale esistente si è venuta, pertanto, a determinare una notevole incertezza sulle finalità e funzioni degli istituti tecnici e professionali, soprattutto in relazione al fondamentale ruolo da essi finora svolto per la preparazione dei giovani all'accesso diretto al mondo del lavoro.
      La riforma della scuola prevista dalla citata legge n. 53 del 2003 e il conseguente decreto legislativo hanno, in sostanza, creato una notevole incertezza in ordine alla congruità della formazione assicurata dai futuri licei tecnologici ed economici rispetto a quella assicurata dagli attuali istituti tecnici e professionali, con riferimento alla preparazione specifica richiesta ai giovani per l'accesso al mercato dell'occupazione. In conseguenza di tale stato di incertezza si è determinata una consistente diminuzione delle iscrizioni degli alunni a tali istituti, che fa quindi presagire un tendenziale regresso dell'istruzione tecnico-professionale, facendo venire meno il fondamentale ruolo che tali istituti hanno svolto in passato e continuano a svolgere per la preparazione dei giovani all'ingresso nel mondo del lavoro.
      Non vanno inoltre sottovalutati i negativi riflessi che tale situazione determina anche per le aspettative e la funzionalità delle imprese, che vedono in tale modo diminuire le possibilità di reclutamento di giovani già formati per l'impiego lavorativo in quanto dotati delle necessarie competenze tecnico-professionali richieste dal mondo produttivo e dei servizi. In considerazione del ruolo strategico di tale settore di istruzione si potrebbe, quindi, determinare un effetto negativo sulla stessa competitività delle imprese, sulla valutazione della convenienza ad investire in Italia e sulla programmazione a breve e medio periodo dell'attività del mondo imprenditoriale, con particolare riferimento al settore delle piccole e medie imprese.
 

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      Si è pertanto ritenuto urgente e necessario intervenire in tale materia, al fine di rilanciare in maniera chiara e decisa il settore dell'istruzione tecnica e professionale e di valorizzare quindi il ruolo svolto dagli istituti tecnici e professionali, in stretto raccordo con le effettive necessità ed esigenze del mondo produttivo.
      Le norme che si propongono rispondono quindi a tale finalità nell'ordinamento scolastico di istruzione tecnico-professionale, finalizzata a rilasciare titoli di studio attestanti una formazione spendibile sul mercato del lavoro e creare, quindi, un raccordo diretto tra l'istruzione scolastica e il mondo imprenditoriale.
      Il comma 1 dell'articolo 13 prevede che il secondo ciclo dell'istruzione, di cui al citato decreto legislativo n. 226 del 2005, è composto dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale e che del sistema dell'istruzione secondaria superiore fanno parte i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali indicati all'articolo 191 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore. A tale fine sono in parte abrogate e in parte modificate le norme contenute nel citato decreto legislativo n. 226 del 2005, che fanno riferimento ai licei tecnologici ed economici.
      Al comma 2 si prevede la creazione di appositi «poli tecnico professionali» tra gli istituti tecnici e professionali, le strutture formative che rispondono ai livelli essenziali delle prestazioni previsti dal capo III del decreto legislativo n. 226 del 2005, e le strutture che operano nell'ambito della formazione tecnica superiore, denominate «istituti tecnici superiori», nel quadro della riorganizzazione di cui all'articolo 1, comma 631, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), al fine di favorire l'interazione tra le diverse strutture e i percorsi dell'istruzione e della formazione tecnico-professionale e promuovere in modo stabile e organico la diffusione della cultura scientifica. I poli sono costituiti a livello provinciale o sub-provinciale, hanno natura consortile e sono dotati di propri organi di gestione, da definirsi con apposite convenzioni tra le istituzioni che costituiscono il polo.
      Gli istituendi poli sono finalizzati a realizzare una efficace sinergia fra i sistemi di formazione coinvolti.
      I commi 3, 4 e 5 dettano disposizioni volte ad agevolare le donazioni in favore delle istituzioni scolastiche, destinate al sostegno dell'innovazione tecnologica, ovvero a finalità connesse all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa. Il comma 7 prevede inoltre che i soggetti donanti non possono far parte degli organi di gestione degli istituti scolastici.
      L'articolo 14, infine, prevede che il beneficio della rottamazione senza pagamento di alcuna somma al demolitore e l'eventuale rimborso dell'abbonamento al trasporto pubblico locale, previsti dai commi 224 e 225 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), sono concessi, per favorire il risparmio energetico e nell'ambito del riordino del regime giuridico dei veicoli, purché non venga acquistato un veicolo nuovo o usato entro il periodo di tre anni dalla data della rottamazione stessa. Inoltre, viene estesa la possibilità di usufruire dei suddetti benefìci anche alle autovetture, a partire dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento e fino al 31 dicembre 2007.
 

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